Nella mitologia greca le arance sono descritte come le favolose “mele d’oro” del giardino delle Esperidi. Nella “Teogonia” di Esiodo si racconta che l’albero dei frutti d’oro era stato generato in occasione delle nozze tra Zeus ed Era, per farne un dono particolare e festoso. Gli agrumi diventarono così simbolo della fecondità e dell’amore; portare agli uomini questi globi d’oro riservati agli dei fu una delle fatiche che Ercole dovette compiere. Il termine “arancia” deriva probabilmente dal sanscrito nagaranja, che significa “frutto prediletto dagli elefanti”, giunto in Europa attraverso la parola arabo-persiana narang o dal latino aurum. Notizie sull’esistenza della pianta si hanno già in tempi molto antichi in Cina, dove si ritiene che questa pianta si sia generata per mutazione dalla pianta dell’arancio amaro. L’origine e la diffusione della pianta di arance in Sicilia è ancora oggi materia di studi, furono gli Arabi a introdurre le arance prima in Asia Minore, in Egitto, nel nord Africa e nell’Europa mediterranea dopo aver conosciuto questi frutti presumibilmente in India. Gli Arabi diedero agli agrumi un importante ruolo decorativo grazie all’abilità dei giardinieri e ne valorizzarono l’importanza agricola avvalendosi di nuove tecniche irrigue e di coltivazione Durante i secoli della loro dominazione in Sicilia (IX-XI secolo d.C.) infatti ebbe inizio l’uso di piantare agrumeti: la coltivazione delle arance, favorita dal clima locale e dalla fertilità del suolo, diede subito origine ad una massiccia diffusione di questo frutto tipico del sole in tutto il bacino del Mediterraneo. Nell’area mediterranea comunque l’arancia era già largamente diffusa nell’antichità, con funzione per lo più ornamentale o religiosa tanto che per questo motivo, ancora oggi, i terreni che ospitano le coltivazioni di agrumi nell’isola sono chiamate dai siciliani “giardini”. Dalla seconda metà del 1800 le coltivazioni in Sicilia crebbero nel numero e verso la fine del secolo gli agricoltori cominciarono ad impiantare gli aranci non più solo nei declivi collinari o nelle zone pianeggianti ma in appositi agrumeti. I giardini infatti si allargarono e assunsero i caratteri di piantagioni razionali pur mantenendo la disposizione e le forme che li caratterizzavano per eleganza in precedenza. Nacquero anche nuove figure professionali nel commercio, i mediatori, e nuove tipologie di proprietari, con la comparsa di borghesi facoltosi. Furono resi coltivabili anche spazi “nuovi” per l’impianto degli agrumi, come quelli alle pendici dell’Etna scavati con la dinamite. L’introduzione delle arance pigmentate si deve invece ad un missionario genovese di ritorno dalle isole Filippine; un’indicazione che si trova in un’opera di carattere botanico sulla coltura degli agrumi (“Hesperides”, 1646), scritta da Giovanni Battista Ferrari, un gesuita e botanico italiano. Nell’opera c’è una classificazione degli agrumi con notizie sulla loro origine e sulla coltivazione, sui luoghi di diffusione in Europa e nel mondo ed importanti notizie anche dal punto di vista etnografico. Ed è qui che per la prima volta si trova citato il frutto “Aurantium indicum” dalla polpa pigmentata (purpurei coloris medulla), l’antenato delle arance rosse di Sicilia. Sull’isola dalla metà del Novecento la coltivazione delle arance rosse ha assunto un ruolo sempre più importante nell’economia agricola, arrivando a caratterizzare il suo fertile territorio e divenire vero e proprio simbolo di questa terra baciata dal sole.
